Luigi Ferracci: l’artista della sostenibilità

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Luigi Ferracci, celebre per la sostenibilità delle sue ingegnose opere d’arte, intervistato ai microfoni di SPQRdaily

Si può realizzare un’opera d’arte riciclando del materiale di scarto? La risposta è sì. Non ha dubbi in proposito Luigi Ferracci; abile artista romano noto soprattutto per le sue opere realizzate esclusivamente con ferro riciclato.

Luigi Ferracci, cresciuto nel quartiere romano di Monteverde, si occupa infatti di dare una nuova vita al materiale di scarto; specialmente ferro recuperato, ad esempio, da vecchi attrezzi agricoli ormai inutilizzati.

SPQRdaily ha avuto il piacere di incontrare Luigi e di parlare con lui della sua carriera e dell’importanza della sostenibilità, anche in campo artistico.

Grazie, innanzitutto, per aver accettato di partecipare a questa breve intervista. 
Ci potrebbe raccontare brevemente quando e come è nata la passione per questa sua forma d’arte?

L’arte è per me una questione propriamente linfatica; da sempre infatti mi sono sentito molto vicino a questa parola. Con la musica e con l’arte plastica mi sono così sempre espresso, trovandomi a discorrere nel giusto idioma; una lingua che sembrava essere proprio la mia.

Tutto questo mi ha sempre lasciato addosso quella sensazione di essere a casa e nella più assoluta comodità. Tuttavia, essere padroni di queste forme è molto faticoso: non basta il talento, dietro c’è molto lavoro, sacrifici, rinunce e giudizi. Difatti, l’artista vive una continua pressione performatica.

Queste forme hanno un linguaggio diretto, che, se riesce, arriva direttamente ai sentimenti; insomma un linguaggio puro ed efficace. La scultura, se così posso permettermi di chiamare il mio lavoro, arriva tardi nel mio vocabolario: venivo dalla scenografia, per la quale ho studiato all’Accademia di Belle Arti di Roma.

Nel corso della sua carriera ha avuto modo di sperimentare altri materiali oppure per qualche ragione è rimasto sempre legato al ferro in particolare?

Durante i miei studi ho sperimentato molti materiali. Ero allievo del grande scenografo di teatro Salvatore Vendittelli, collaboratore del conosciutissimo Carmelo Bene; un rivoluzionario del teatro che non poteva che avere come scenografo uno sperimentatore. Da lui presi infatti questa voglia di confrontarmi con i materiali più disparati.

Il ferro però … con il ferro ho un legame forte e spirituale. L’idea della forgia, di plasmare uno dei materiali più duri, pesanti e resistenti con l’aiuto del fuoco mi ha attivato; ho impugnato il martello ed affrontato questo percorso, ma moltissima è la strada da percorrere. E poi … mi chiamo Ferracci

Un amico del liceo incontrato dopo tanti anni aveva attrezzature e spazi idonei. Allora abbiamo iniziato a giocare insieme, fino a che le persone si sono interessate alla produzione e, di lì in poi, dal gioco sono passato ad un approccio più serio; direi in sostanza più profondo. Sono già quasi 10 anni che ho iniziato questa avventura; e non ho mai avuto voglia di fermarmi se non per qualche pausa di riflessione.

Senza ombra di dubbio possiamo definirla un vero e proprio artista della sostenibilità.
Potrebbe parlarci di quanto sia importante oggi, nel campo artistico ma non solo, prestare la giusta attenzione a determinate tematiche?

Il concetto del riuso deve essere assolutamente trasmesso all’uomo: veniamo da un periodo, quello degli anni 60/70, dove tutto si produceva in grandi quantità e senza il minimo pensiero di come avremmo poi smaltito tutto. Dobbiamo alla Terra questo favore!

Educare a non inquinare, a riusare e non sprecare può essere intrigante e anche divertente! Il processo con cui i miei lavori prendono forma nasce tutto da un incontro con quel pezzo di tubo o con quella parte di meccanica di qualche attrezzo da lavoro; quello che mi colpisce è la forma del primo impatto visivo, da quel primo incontro con l’oggetto “guida” è come se scattassi un’istantanea del pezzo vedendolo collocato nella funzione che prenderà. Una curva di tubo in ferro, ad esempio, saprò già che sarà la pancia di un cavallo; quindi se esiste la pancia dovrò costruirci il cavallo intorno e così inizia una nuova ricerca del pezzo e poi dell’altro. E’ un percorso vero e proprio in cui vince l’attesa, contro il mio istinto che va sempre di corsa ed è sempre in movimento.

Non progetto quasi mai, ovvero non disegno mai la figura finita, il mio progetto prende forma nella realizzazione stessa, si plasma da solo grazie ai nuovi pezzi che aggiungo e combino, ma che soprattutto trovo! Il ferro è per sempre, ma nel tempo cambia: gli agenti atmosferici continuano il lavoro; la ruggine racconta la sua storia e si esprime con seduzione, tirando fuori inaspettate sfumature dal blu all’arancione. Non tutti però amano questa trasformazione, anzi qualcuno ne sembra spaventato. Alla domanda “Perché non li vernici?”, io rispondo sempre “Giammai!”. Difatti, se verniciassi un mio lavoro esso diverrebbe un semplice complemento d’arredo, un’ oggetto da Ikea per capirci; mentre il mio messaggio è nella materia, nella trasformazione e nella valorizzazione del vecchio.

Il mio profilo Instagram, che è momentaneamente il mio book online, per questo si chiama “secondlifeiron”, ovvero seconda vita del ferro. Donare una vita, anche se solo seconda, è in fondo una cura per me; il mio centro benessere è pieno di polvere di ferro, martelli, frullini e saldatrici.

Fonte Immagine: Redazione SPQRdaily

Alessandro Alongi
Author: Alessandro Alongi

Giornalista, docente universitario e appassionato di diritti. Da molti anni collabora con diverse testate giornalistiche nazionali e locali per cui scrive saggi di cronaca politica, legislativa e società digitale.

Alessandro Alongi

Giornalista, docente universitario e appassionato di diritti. Da molti anni collabora con diverse testate giornalistiche nazionali e locali per cui scrive saggi di cronaca politica, legislativa e società digitale.